IL CROCIFISSO DEL COMBO

Il miracolo del crocifisso vivente (leggenda)
Testi a cura di M. Dei Cas

Il ponte del Combo, a Bormio. Foto di M.  Dei Cas Bormio è attraversata dal torrente Frodolfo, che scende dalla Valfurva. Il più occidentale dei ponti sul Frodolfo è il ponte del Combo, con un arco a schiena d’asino, che conduce all’omonimo quartiere, a sud-est del centro cittadino. Si tratta di un ponte assai antico, che risale almeno al secolo XIV, e che venne ricostruito nei secoli XVI e XVIII, dopo una rovinosa alluvione. La sua importanza storica è notevole, perché di qui passavano coloro che venivano da o si dirigevano verso la media Valtellina, percorrendo la strada Valeriana detta di Pöira.
Poco oltre il ponte, percorrendo via Crocifisso, raggiungiamo la piccola piazza dove si trova la Chiesa del SS. Crocifisso. Il suo nome originario è, però, quello di chiesa di S. Antonio, in quanto, quando venne costruita, nel 1368, venne dedicata a tale santo. La successiva denominazione deriva dal fatto che ospitò, successivamente, una scultura lignea, forse del secolo XV, di Cristo crocifisso. La devozione per tale crocifisso rimase, nei secoli, assai viva non solo a Bormio, ma anche nelle valli vicine, e si esprime ancora oggi durante i riti del cosiddetto “trasporto”, quando esso viene portato con solenne processione nella chiesa parrocchiale dei SS. Gervasio e Protasio, dove riceve per alcuni giorni l’omaggio dei fedeli, prima di essere riportato al di là del Frodolfo.
Tale devozione è legata, anche, ad una leggenda che ci riporta agli inizi de IV secolo d. C., cioè ai tempi nei quali la fede cristiana faceva la sua prima comparsa in alta Valtellina, ancora pagana. Protagonista della leggenda è un umile pastore di Valfurva che, d’estate, portava il suo gregge sui pascoli dell’alta valle. La sua fede era cristiana, in tempi nei quali manifestarla poteva significare andare incontro anche alla morte. I pastori avevano diverso tempo a disposizione, mentre sorvegliavano le greggi, ed egli amava utilizzarlo per scolpire, nel legno, le fattezze delle persone care.
Un giorno il cielo si rabbuiò improvvisamente e si scatenò un violento temporale. Il pastore cercò riparo, con le sue pecore, sotto un larice, ed invocò la protezione del Cielo facendosi il segno di croce. Il Cielo lo protesse, perché un violentissimo fulmine colpì il larice, incenerendolo, ma risparmiò lui e le bestie. Non appena ebbe il tempo di riprendersi dallo spaventò, notò che il larice, con i rami carbonizzati che erano rimasti sul suo tronco, aveva assunto la forma di una croce. Comprese che si era trattato di un miracolo, e che era stato il Signore a donare un’altra volta la vita, per risparmiare la sua.
Da allora fu animato da un solo pensiero: doveva dare un volto, doveva dare un’immagine al Signore che si era sacrificato per lui. Non gli fu difficile farlo, abile scultore del legno qual era: lavorando per tre giorni e tre notti, trasse dal legno annerito del larice un grande crocifisso ligneo, che, terminata la stagione estiva, portò con sé a valle, nella dimora della sua famiglia.
Era davvero un rischio, perché se fosse stato scoperto quel segno inequivocabile della sua fede, avrebbe potuto essere ucciso, ma egli non esitò a tenere il crocifisso con sé, nella madia del pane, anche perché era per lui un crocifisso vivente. E tale era: durante una carestia, il crocifisso si fece miracolosamente pane, e ciò permise alla famiglia del pastore di sopravvivere.
Ora, però, la leggenda volge in tragedia: un mendicante che, nel cuore dei rigori invernali, era stato accolto nella casa del pastore ed aveva visto il crocifisso proprio dentro la madia di quel pane che aveva ricevuto come elemosina, lo denunciò, segnandone la condanna a morte. Le autorità, infatti, vennero e lo uccisero nella sua stessa casa, lasciando la moglie ed i figli nel più profondo e straziante dolore.
Ma il crocifisso rimase, ed era un crocifisso vivente. Poté constatarlo lo stesso mendicante che, durante quel medesimo inverno, si trovò ancora nell’indigenza più nera e tornò alla casa che già una volta aveva tradito. Gli venne offerto ancora il pane, senza rancore né spirito di vendetta, ed egli poté vedere, mentre veniva aperta la madia, un uomo vero. Era l’uomo appeso alla croce, ma per il mendicante si trattava di un uomo nascosto nella casa, un altro cristiano probabilmente, ed egli denunciò per la seconda volta quel che aveva visto alle autorità. Questa volta, però, quando vennero i soldati già era tornata la stagione bella, per cui moglie, figli e pecore si trovavano in alta valle, al pascolo.
La casa fu bruciata ed il crocifisso fu scagliato nel Frodolfo, proprio quando le sue acque, ingrossate da un violento temporale, si precipitavano verso valle con maggiore violenza. Ma il crocifisso non scomparve nei gorghi: miracolosamente, fu trovato, intatto, alle porte di Bormio, nei pressi del fiume, fra gli ontani. Da allora esso divenne il simbolo della fede vittoriosa sulla malvagità dei pagani, in virtù del coraggio di chi aveva saputo professarla anche a prezzo della propria vita.
Una versione in forma poetica di questa leggenda si trova nella bella raccolta intitolata “Le leggende in alta Valtellina”, del 1998, curata da Maria Pietrogiovanna.

Per procedere occorre essere utenti registrati, inserisci i tuoi dati:

Oppure Registrati.