IL DIAVOLO DI SAN GIACOMO

Le pericolose tentazioni di carnevale (leggenda)
Testi a cura di M. Dei Cas

San Bernardo. Foto di M.  Dei Cas Diverse leggende, dove spesso il protagonista è il diavolo, hanno un evidente intento di ammonizione e dissuasione, in quanto presentano pericoli ed insidie connessi con i comportamenti di dubbia moralità. Il messaggio è chiaro: attenzione, chi si comporta con leggerezza, si espone a rischi paurosi, e soprattutto al più terribile, quello di perdere la propria anima. Le ragazze sono le prime destinatarie di questi avvertimenti, come appare chiaro anche da un raccontino ambientato alle soglie della valle di San Giacomo, nel comune di San Giacomo-Filippo, appena sopra Chiavenna.
Accadde una volta, durante i festeggiamenti del carnevale (il tempo in cui ci si concede al gusto del divertimento e dello scherzo, prima dei rigori della Quaresima), che due ragazze decisero di lasciare l’ambiente un po’ austero e triste dei monti di San Bernardo (oggi bel centro di villeggiatura, a 1099 metri, all’ingresso della valle del Drogo, sul suo lato settentrionale) per scendere a San Giacomo-Filippo, dove era stata organizzata una serata danzante. Si misero, quindi, in cammino e, oltrepassato l’aspro salto della valle, si portarono sul lato meridionale, raggiungendo Olmo. Erano partite di pomeriggio, e quando, scendendo ancora, raggiunsero il fondovalle, là dove un ponticello permette di passare dal lato orientale a quello occidentale della valle di San Giacomo, raggiungendo il cuore del paese di San Giacomo-Filippo, era già calata la sera, con le sue ombre inquietanti. Ma le ragazze pregustavano il divertimento della sera, amanti com’erano del ballo, e non c’era posto, nella loro mente, per pensieri tristi.
Non notarono, quindi, un signore che se ne stava seduto sul muricciolo vicino al ponte, come se attendesse qualcosa o qualcuno. Per questo si stupirono quando costui rivolse loro la parola, chiedendo dove fossero dirette. Superato il moto di sorpresa, risposero candidamente che era loro intenzione passare almeno parte della serata ballando. L’uomo allora, un signore mai visto, con un accento tranquillo e quasi benevolo, ma deciso, le invitò a tornare subito a casa e, di fronte alla resistenza di una delle due, che non intendeva privarsi di un po’ di divertimento, se ne uscì con una frase che suonava come una minaccia sinistra: “E allora vai, quello che cerchi, troverai.” Cosa nascondevano quelle parole enigmatiche? Se lo chiesero, per qualche istante, le due ragazze, mentre l’uomo scompariva ai loro occhi, come se fosse stato inghiottivo dal buio che ormai circondava quel luogo.
La conclusione che ne trassero fu diversa: l’una, scossa dal monito, preferì tornare indietro, verso casa, l’altra, invece, rimase ferma nel suo proposito di godersi una serata danzante. Senza esitare ulteriormente, quindi, raggiunse la stalla che era stata adattata a pista da ballo, e che per tutta la serata fu animata da canti e danze. Quando un individuo, anche questo mai visto, le chiese, con insistenza di ballare, e la trascinò in un ballo singolare e concitato, che sembrava non avere mai fine, aveva già dimenticato l’episodio del ponte. All’inizio la cosa sembrava anche divertente, ma poi, in un’atmosfera che si faceva sempre più irreale, quel ballo che non terminava, quei passi frenetici ed il mistero di quell’uomo che non pronunciava parola si fecero strada nell’animo della ragazza, dove all’euforia della festa si sostituì un’inquietudine sempre più marcata. Teneva lo sguardo basso, non osava guardare in faccia il compagno di danze, e, ad un certo punto, osservò un particolare che le era, fino ad allora, sfuggito: quelle estremità nere che aveva già guardato con occhio distratto, ad uno sguardo più attento si mostrarono per quel che erano, due grosse zampe caprine. Un segno che non si può equivocare, il segno del diavolo.
Le si raggelò il sangue nelle vene, e per diverso tempo si lasciò trascinare nel ballo quasi a corpo morto. Ma si riebbe, fece appello a tutto il suo coraggio, aspettò il momento propizio e sfuggì alla presa del diabolico ballerino, precipitandosi fuori, riguadagnando il ponticello sul Liro, decisa a tornare diritta a casa, senza neppure voltarsi indietro. Ma i misteri di quella serata da incubo non erano terminati. Infatti, al ponticello sembrò materializzarsi una terza enigmatica figura, che sembrava più nera del nero della notte, e che le chiese se si fosse divertita. La ragazza, ancora sconvolta, senza neppure porsi il problema di chi avesse di fronte, rispose di no, disse che aveva incontrato il diavolo in persona, che l’aveva tentata. “Il diavolo ti aveva avvisata!”, fu la replica del misterioso individuo, con un tono che era, insieme, beffardo e benevolo.
La storia termina qui, lasciando a chi la ascolta, o legge, la libertà di immaginarne il seguito. Ma il suo messaggio è chiaro: una ragazza costumata non si lascia indurre in tentazione dal divertimento frivolo, che può essere fonte di perdizione. Lasciamo al lettore giudicare sulla validità di questo messaggio, aggiungendo solo qualche nota sulle possibilità escursionistiche e ciclistiche offerte dai luoghi nei quali il racconto (tratto dal volume “Leggende” di A. Del Giorio, Samolaco, 1977, e riportato anche nel volume di Cecilia Paganoni, "Racconti e leggende di Valtellina e Valchiavenna", edito nel 1992) è ambientato.


La salita da San Giacomo Filippo a San Bernardo può essere un interessante, anche se faticoso, itinerario di mountain-bike. San Giacomo-Filippo si trova 4,3, km sopra Chiavenna, salendo in direzione del passo dello Spluga. Prima di entrare in paese, troviamo, sulla sinistra, sotto il muraglione della chiesa parrocchiale dei SS. Giacomo e Filippo, il ponte sul Liro (la scena del duplice misterioso incontro). Lo raggiungiamo staccandoci dalla strada statale 36 dello Spluga e, attraversandolo, ci portiamo sul lato sinistro (per noi, cioè occidentale) della valle. Iniziamo, quindi, la salita sul boscoso versante meridionale della bassa valle del Drogo (toponimo che significa “orrido”, “forra”). Ignorata una deviazione a sinistra per Sommarovina, raggiungiamo, così, a 2,5 km circa dal ponte, Olmo, la cui chiesetta della Trinità, edificata nel 1650, è posta a 1056 metri. Proseguendo, ci avviciniamo all’impressionante solco della valle, che scavalchiamo su un ponte, in corrispondenza della centrale di San Bernardo, proprio nel punto in cui la valle si restringe e precipita con una paurosa forra verso il fondovalle. Raggiunto il fianco settentrionale della valle, continuiamo a salire, fino a San Bernardo (a poco più di 4 km dal ponte), località abitata tutto l’anno e posta su un ottimo terrazzo panoramico, sul fianco montuoso che scende, verso sud-est, dal pizzo Camoscera (m. 2185). La chiesa di San Bernardo, a 1099 metri, è molto antica, in quanto risale almeno al secolo XII. La salita si può concludere poco sopra San Bernardo, fra le belle baite di Scanabecco (m. 1242), dove si trova la chiesetta di San Rocco.
Fino a San Bernardo si può salire anche in automobile, ed il paesino può essere il punto di partenza di escursioni in valle del Drogo. La meta più classica è il rifugio Carlo Emilio, che domina il grande bacino del Truzzo. Il sentiero che dobbiamo imboccare parte proprio sotto il sagrato della chiesa di San Rocco, verso sinistra (ovest), ed all’inizio è poco marcato. Attraversato un prato ed una prima selva, si fa più evidente e comincia una lunga traversata sul fianco settentrionale della valle. Valichiamo, così, su un ponticello le condutture della centrale di San Bernardo, cominciando, poi, a perdere quota di qualche decina di metri, all’ombra di un fresco bosco, attraversando anche un corpo franoso. Entriamo, così, nel cuore della valle, ed il versante alla nostra sinistra si fa sempre meno scosceso. Incontriamo i primi prati e le prime baite, fino al bel nucleo di Sant’Antonio (m. 1213), dove si trova anche una bella chiesetta, a lato della quale passa il sentiero. Qui troviamo anche delle croci poste a ricordo dei contrabbandieri caduti valicando il passo di Léndine.
Proseguiamo fino ad incontrare, prima dell’alpe Caurga, presso un nucleo di baite, la mulattiera per il bacino del Truzzo, che si stacca dal sentiero sulla destra, segnalata da un cartello (indicazione per la Capanna Carlo Emilio). La mulattiera comincia un’inesorabile sequenza di tornanti per vincere i circa 800 metri di dislivello che separano i prati del fondovalle dal bordo superiore del grande gradino roccioso ben visibile sul fianco nord della valle. La fatica della salita è però temperata dalla bellezza ed eleganza della mulattiera, un piccolo gioiello di ingegneria alpina, costruita negli anni venti del secolo scorso per servire il cantiere allestito per costruire lo sbarramento artificiale del Truzzo. Nella parte più alta, dove supera una fascia di grossi massi scesi dal selvaggio versante meridionale del pizzo Camosciè (m. 2467), la mulattiera è interamente lastricata con grossi blocchi di sasso con geometrie che, viste dall’alto, si apprezzano con un vivo senso di ammirazione.
Nel primo tratto il bosco accompagna con la sua fresca compagnia le nostre fatiche (risalire questo versante d’estate ci espone, infatti, ad una certa sofferenza da calura), poi si va sempre più diradando. Ad un certo punto osserviamo, alla nostra sinistra, un selvaggio promontorio roccioso, con un’inquietante cavità alla sua base, che dà l’impressione che il costone della scroccare da un momento all’altro. Poco più avanti, a quota 1500, il sentiero piega decisamente a sinistra e, dopo un breve traverso, supera un torrentello che in quel punto forma una cascatella, per poi risalire proprio il costone, con qualche tratto esposto (servito da corde fisse). Alla fine ci ritroviamo proprio alla sua sommità, e ci viene spontaneo cercare di procedere con passo leggero: non si sa mai… Segue un traverso a destra ed una nuova serie di serrati tornanti. Lasciamo alla nostra sinistra un primo nucleo di baite a quota 1664, prima di raggiungere l’alpe Curt de Lavazz (m. 1751) e proseguire alla volta dell’alpe Cornera (m. 1920). Lo scenario è ormai mutato: diversi massi si dispongono caoticamente sul declivio posto ai piedi dell’aspra costiera della Camoscera, che va dal pizzo Camoscera, a destra, alle gotiche Guglie dei Caurgh, che comprendono il pizzo Camosciè, a sinistra.
Eccoci, infine, dopo aver lasciato sui bei lastroni della mulattiera molto sudore, al piano dove sono collocate le abitazioni dei guardiani della diga: ancora qualche sforzo, utilizzando anche alcune scalette, prima di raggiungere il culmine del bastione roccioso che delimita il terrazzo del Truzzo. Portiamoci, ora, sul limite del camminamento che sovrasta la diga del Truzzo, ed ammiriamo l’ampio bacino (m. 2080, 18 milioni e mezzo di metri cubi d’acqua circa), nel quale si riflettono i severi versanti rocciosi che lo circondano, con interessanti effetti di specchio. Qui troviamo un bivio, segnalato da un cartello. Prendendo a destra proseguiamo nella prima tappa del Trekking della Valle di Spluga (che abbiamo fin qui percorso), e risaliamo il versante ad est del bacino, alla volta del passo dell’Alpigia (m. 2370), dato a tre quarti d’ora di cammino. Se, invece, scegliamo la seconda soluzione, per il rifugio Carlo Emilio, dobbiamo percorrere il camminamento ed imboccare il sentiero che parte dal suo lato opposto, descrivendo un arco che lo porta a superare un torrentello che scende al bacino ed alcuni sistemi di roccette arrotondate. Approdiamo, poi, ad un risalto leggermente più alto rispetto alla quota del bacino, dove ci attende il lago Nero, dall’aspetto, però, tutt’altro che lugubre.
Dal limite orientale del laghetto possiamo già vedere la meta, il rifugio, posto sull’angolo opposto. Per raggiungerlo dobbiamo superare un passaggino un po’ esposto (attenzione a non scivolare). Alla fine, eccoci al piccolo rifugio del CAI di Como, quotato 2153 metri, ed eretto nel 1911. Da qui partono diverse possibilità di escursione ed ascensione, ai laghi del Forato (a sud-ovest) e forato (ovest-sud-ovest), ed ai pizzi Forato (o Pombi, m. 2967), Sevino (o Corbet, m. 3025) e Quadro (m. 3013). Guardando a nord, vediamo le baite dell’alpe Truzzo (m. 2110), dalle quali passa il sentiero C21, che sale al passo del Servizio (m. 2584), poco oltre il quale, a quota 2550, si trova il bivacco del Passo del Servizio. Dal passo, sempre seguendo il sentiero C21, si può scendere all’alpe del Servizio e di qui a Campodolcino. L’escursione da Scanabecco al rifugio Carlo Emilio richiede circa tre ore e mezza, per superare circa 1100 metri di dislivello.

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