Il Giuèt
Il misterioso animale dei boschi sopra Polaggia ( leggenda )
Testi a cura di M. Dei Cas
Nel
bestiario fantastico popolato di animali improbabili, parto plurisecolare
della fantasia popolare che si congiunge con frammenti di cultura biblica
o letteraria, c’è la categoria particolare di quelli costituiti
da elementi, variamente combinati, dell’aspetto di uomini, rettili,
sauri e draghi. Uno di questi è il giuèt, la cui credenza
era diffusa nella zona di Polaggia, frazione di Berbenno di Valtellina.
Per scoprirne l’origine, dobbiamo raggiungere il paese, lasciando
la ss. 38 all’altezza di S. Pietro di Berbenno, salendo verso
Berbenno e, all’altezza della chiesa, piegando a destra. Portiamoci
alla parte alta del paese, percorrendo la strada che conduce ai prati
di Gaggio: all’uscita dal paese, da questa strada si stacca, sulla
sinistra, un tratturo, con fondo in cemento, la via Della Puncia. Seguendola,
arriviamo all’oratorio di San Gregorio (m. 588), posto su un piccolo
colle che veniva chiamato, fino al sec. XVII, monte Zardino. Si tratta
di una cappella che originariamente era annessa ad una struttura fortificata,
detta “castrum Mongiardinus”, di origine trecentesca. Dal
colle si gode di un’ottima visuale sulla media Valtellina, da
Triangia al Culmine di Dazio. Fra le particolarità dell’oratorio
vi è l’ancora lignea dell’altare (scolpita dai milanesi
Guglielmo a Gian Filippo Bossi nel 1628), nella quale l’ostia
è circondata da due animali squamosi, di origine fantastica,
nei quali la tradizione popolare ha identificato la rappresentazione
della misteriosa bestia denominata “giuèt”, che si
raccontava abitasse i boschi della zona, da Polaggia fino alle soglie
dell’alpe di Caldenno.
Le
testimonianze popolari sull’animale sono abbastanza varie. L’anziana
signora Vittoria Fontana, di Polaggia, ricorda ancora un episodio raccontato
dal trisnonno. Questi si trovava, un giorno d’estate, all’alpe
Caldenno, con la figlia, e decise di recarsi nei boschi che circondano
i prati per fare legna e ricavarne un paio di “sciupèi”
(zoccoli). Di ritorno alla baita, si imbattè in un animale mai
visto, dalle sembianze di serpente, probabilmente il misterioso giuèl,
di cui si parla da tempo immemorabile nella zona. Il ricordo è
incerto, perché lo sguardo dell’animale ebbe subito l’effetto
di incantare l’uomo, facendolo cadere in un sonno profondo. Venne
trovato, riverso a terra mentre dormiva, da altri contadini che tornavano
alla baita dopo aver falciato il proprio campo. Portato alla sua baita,
rimase in quella condizione, sprofondato in un sonno innaturale, per
ben tre giorni e due notti: solo il terzo giorno si svegliò.
Era stato vittima di uno degli effetti più risaputi del giuèl,
animale incantatore, e gli era andata ancora bene. Dicono, infatti,
che, qualora ci si imbatta nel misterioso animale, si deve evitare di
guardarlo, perché il suo sguardo può produrre effetti
come questo, o ancora peggiori. I suoi poteri magici (detti, popolarmente,
la “fisica”), però, sono legati non solo allo sguardo,
ma anche al fischio che emette: anche questo può tramortire (qualcosa
di simile, è interessante ricordarlo, si dice di un altro animale
fantastico ed ancor più temibile, il basilisco –“basalesc”
o “basalisc”, in dialetto -: al suo fischio terribile bisogna
fuggire precipitosamente, perché al terzo si cade a terra stecchiti).
Ma
com’è fatto il giuèt? Il signor Edoardo, uno dei
vegliardi di Polaggia, ricorda la descrizione che ne diede la suocera:
si tratta di un animale delle dimensioni di un grosso gatto, che all’apparenza
può essere scambiato anche per un bambino in fasce, perché
le squame che lo ricoprono sono simili a fasce colorate (la signora
Giuseppina Fumasoni, di Polaggia - 89 anni -, racconta addirittura che
una donna, tratta in inganno, abbia allattato un giuèl, scambiandolo
per un bimbo; del resto, si dice ancora, questi animali amano molto
il latte, e spesso approfittano delle mucche al pascolo per succhiare
dalle loro mammelle questo alimento). A ben guardarlo, però,
l’animale appare davvero repellente, e non solo per la sua pelle
squamosa e viscida, ma anche per il muso, che è simile a quello
di un drago. La suocera del sig. Edoardo gli raccontò di aver
riconosciuto il malefico animale, mentre si recava nel bosco a raccogliere
fragoline per poi venderle, a valle del sentiero che stava percorrendo.
Riuscì però a sottrarsi al suo incantamento e a fuggire
via.
Si racconta anche, in quel di Polaggia, che questi animali sono probabilmente
una categoria dei “cunfinàa”, cioè delle anime
dannate costrette a dimorare in qualche luogo. I boschi di Polaggia
ne erano infestati, ma poi, dopo la consacrazione della chiesetta di
san Gregorio, tutti i giuèt li lasciarono e si precipitarono
nel vallone del torrente Finale, dal quale non riemersero più.
Ma
chissà mai che ne sia rimasto qualcuno. Se vogliamo verificarlo
di persona, possiamo effettuare una facile e bella escursione che ci
porta dal Pian del Prete (m. 1240, poco sopra Gaggio di Postalesio)
all’alpe Caldenno per una via diversa dalla carrozzabile che sale
a Prato Isio.
Al Pian del Prete dalla strada principale si stacca, sulla destra, una
pista sterrata, che, percorso un buon tratto sul fianco occidentale
della valle di Postalesio, lascia il posto ad un sentiero, il quale,
dopo un lungo traverso, che lo porta poco sopra il solco della valle,
piega a sinistra e comincia, con rapide serpentine, a guadagnare quota,
uscendo da un bellissimo bosco, dopo circa un'ora di cammino, in corrispondenza
del limite inferiore dei prati dell’alpe di Caldenno, a 1700 metri
circa. Si tratta di un sentiero molto bello, in una cornice quasi fiabesca,
che ci accompagna per l'intero cammino, anche se, con tutta probabilità,
non avremo modo di imbatterci in alcuna presenza magica.