IL MASSO DI GIAVÈRA
La Madonna ferma un masso rovinoso in Val Bregaglia (leggenda)
Testi a cura di M. Dei Cas
I massi erratici hanno, da sempre, acceso la fantasia popolare: da dove
siano caduti è spesso facilmente intuibile, ma quando e perché,
queste sono le domande che suscitano. Se, poi, recano impronte che richiamano
piedi o mani, allora è certo che qualche evento prodigioso è
legato alla loro presenza.
E’ il caso del masso di Giavera, frazione di Villa di Chiavenna,
l’ultimo paese in territorio italiano che si incontra risalendo,
da Chiavenna, la Valchiavenna. Al fondo della leggenda legata al masso
vi è, però, una verità storica: anche in bassa
Val Bregaglia, nel terribile Seicento, si scatenò la caccia alle
streghe, che colpì alcune donne sospettate di avere commercio
con il demonio, e che furono arse al Campo della Giustizia, poco distante,
fra Prosto e Borgonuovo.
La paura delle streghe rimase assai viva nella comunità del piccolo
paese. A loro si attribuivano trame e malefici orditi contro i raccolti,
la salute del bestiame, i bambini. Ma ciò che più questi
esseri malefici detestavano erano i segni del sacro e della devozione
popolare. Tale era, nel paese, la chiesetta dedicata alla Madonna Immacolata,
edificata nel 1641, come segno della profonda devozione della popolazione
locale nei confronti di Maria. Una devozione che, in quel secolo così
duro per Valtellina e Valchiavenna, si intensificò sempre più,
manifestandosi in preghiere, atti di penitenza, processioni, che avevano
come cuore l’edificio sacro. Una
situazione insopportabile per gli spiriti votati al male, per le streghe
che erano sempre più insofferenti di fronte ad una fede così
ardente.
Ma dov’erano queste streghe? Alcune, forse, fra le case stesse
del paese, ma le più temibili si nascondevano nel boschi del
versante montuoso che lo sovrasta, nelle valli più buie, pronte
ad uscire nelle notti del sabba, a vagare in cerca di prede dopo i rintocchi
dell’Ave Maria. La chiesetta dell’Immacolata divenne per
loro un’ossessione insopportabile, ed allora ricorsero ai loro
poteri, a quei poteri che il diavolo stesso aveva dato loro, poteri
su aria, acqua, terra e fuoco. Il loro piano era semplice e terribile
al tempo stesso: si trattava di staccare, da una grande parete rocciosa
a metà strada fra i maggenghi di Roncaiola e Pian Cantone, un
enorme masso, per poi scaraventarlo giù, verso il fondovalle,
e travolgere le mura della chiesetta. Nessun uomo avrebbe avuto la forza
di farlo, ma le maliarde, unendo il loro potere sugli elementi, ci riuscirono,
ed una notte il tonfo sinistro del masso che rotolava, sempre più
veloce, verso Giavéra ruppe il silenzio della valle.
Fu un rumore sordo, tremendo, incalzante. Il masso veniva giù,
inesorabile, per travolgere non solo la chiesetta, ma anche diverse
fra le case vicine, prima
ancora che gli ignari abitanti potessero rendersi conto di quanto accadeva.
Quand'ecco che il buio in cui la tragedia stava per consumarsi fu squarciato
da una luce e, nella luce, apparve una figura di madre, con un braccio
steso, a mezz'altezza, ed una mano provvidente aperta. Era la mano stessa
della Madonna, apparsa, poco a monte della chiesa, per fermare la corsa
del masso.
Questo rimase così, come una belva ammansita, fermo, in mezzo
ad un prato. Sul masso rimasero le impronte dei piedi delle streghe,
di quei piedi che lo avevano spinto in basso, e l’impronta della
mano della Madonna. Ancora oggi si possono vedere, anche se non è
facile riconoscerle. Le streghe, da allora, non osarono più insidiare
la fede della piccola comunità: se ne persero le tracce, ma forse
sono ancora in qualche luogo remoto fra i monti, in attesa di tempi
più propizi.
Per gli escursionisti
Raggiungiamo Chiavenna e, alla rotonda sulla ss.
36 dello Spluga, prendiamo (se veniamo dalla bassa Valchiavenna) a destra,
seguendo le indicazioni per la ss. 37 del Maloja. Percorriamo, poi,
il viale Maloggia, fra le case della contrada S. Giovanni di Chiavenna,
prima di lasciare la cittadina ed iniziare la salita che conduce a Prosto,
in comune di Piuro, la prima località che incontriamo entrando
in Val Bregaglia, a 2 km da Chiavenna. Proseguendo, dopo altri 2 km
raggiungiamo Borgonuovo, sempre in comune di Prosto. Fra i due centri
si trova il Pian della Giustizia, e la località omonima (segnalata
da un cartello che troviamo alla nostra sinistra), luogo in cui venivano
eseguite le sentenze contro le persone accusate di stregoneria.
Ancora 2 km e siamo a S. Croce, il terzo nucleo del comune di Piuro.
Qui, proprio a lato, sulla sinistra, della strada troviamo, segnalata,
l’interessantissima chiesa dell’Invenzione della Croce,
la cui esistenza è attestata fin dal 1178.Si
tratta di un edificio sacro che presenta la caratteristica, inconsueta,
della pianta circolare. A poca distanza dalla chiesa, verso nord, a
lato dell’antica strada per la Bregaglia, si può ancora
osservare la Ca’ de la Giüstizia, sede del pretorio di Piuro
dopo l’immane frana che ne cancellò, nel 1618, il centro
originario. Qui il podestà della Lega Grigia, che dal 1512 estendeva
la sua giurisdizione su Valchiavenna e Valtellina, esercitava la giustizia,
mostrando spesso quella rigorosa inflessibilità simboleggiata
dal dipinto di S. Michele Arcangelo, che, brandendo la spada, mostra
come anche la giustizia divina non sia esente da una terribile severità.
Severità che la giustizia umana mostrava, a quei tempi, anche
nei confronti delle persone accusate di stregoneria. Lo stesso anno
dell’apertura della Ca’, il 1642, si celebrò, infatti,
il primo processo ad una strega, che fu condannata ad essere arsa viva.
Altri ne seguirono, nella seconda metà del Seicento. Nell’intera
Val Bregaglia furono condannati a morte, in quel periodo, più
di venti fra streghe e stregoni, persone disgraziate che, sotto tortura,
confessavano di aver partecipano ai “barioni” (così
si chiamavano, qui, i sabba, o convegni con il diavolo) e di aver operato
malefici, con pozioni o con unguenti neri e maleodoranti, ai danni di
campi, animali e persone. A Vicosoprano, in territorio svizzero, si
possono ancora osservare gli strumenti di tortura applicati a quegli
sventurati.
Proseguiamo, sulla strada per il Maloja, fino ad entrare nel territorio
del comune di Villa di Chiavenna. Prima di raggiungere il centro del
comune, troveremo, sulla nostra destra, una deviazione, con l’indicazione
per Giavéra. Si tratta di una stradina che scende ad un ponte
e ci porta sul lato opposto della valle, dove, a 650 metri di quota,
troviamo le case della frazione e la chiesetta dedicata all’Immacolata.
Sulla facciata possiamo osservare un dipinto che rappresenta la Madonna
coronata di stelle e circondata da cinque angioletti. A monte della
chiesetta e della strada si trova, invece, un prato, nel quale, circondato
da alcune piante, riposa ancora il grande masso della leggenda. Non
è facile individuare le impronte dei piedi malefici e della mano
provvidente, ma, cercando con attenzione rispettivamente sul lato rivolto
a monte e su quello che guarda verso la chiesa, potremo scorgerle.
Tuttavia la nostra ricerca non si può concludere qui: dobbiamo
andare a visitare il luogo da cui il masso venne fatto rotolare a valle,
per sincerarci che sia ora davvero libero da presenze malefiche. Lasciata,
dunque, l’automobile nel parcheggio vicino alla chiesetta, incamminiamoci
sulla mulattiera che da Giavéra sale a Roncaiola, proseguendo
poi per Pian Cantone. Troveremo la sua partenza sulla nostra sinistra
scendendo un po’, dal parcheggio, lungo la strada percorsa. La
mulattiera sale, piuttusto ripida, in un fresco bosco: nel primo tratto
la vegetazione, diradandosi, ci regala anche un bello scorcio su Villa
di Chiavenna. Dobbiamo sempre seguire i segnavia e le frecce, ignorando
alcune deviazioni a destra ed a sinistra, fino a raggiungere i prati
del Mot.
In cima ai prati la mulattiera riprende, sempre ripida, fino a raggiungere
il limite orientale (di sinistra) dello splendido terrazzo dei prati
di Roncaiola. Vale la pena, ora, lasciarla per un po’ e percorrere
l’intero terrazzo, verso ovest (destra), per gustare la bellezza
del luogo. Guardando verso nord, possiamo ammirare, in primo piano,
il monte Saragiolo e la punta dello Scudo, sul lato orientale della
valle dell’Acqua Fraggia. Verso sud, invece, si apre uno scorcio
suggestivo della val Aurosina, chiusa dall’imponente monte Gruf
(m. 2936), massima elevazione del crinale che la separa dalla Val Codera.
Al limite occidentale dei prati troviamo una pista sterrata che scende
verso S. Croce.
Torniamo, ora, sul lato opposto, e riprendiamo la mulattiera che prosegue
la sua salita verso Pian Cantone, in una splendida pineta. Ad
un certo punto essa passa proprio ai piedi di un’imponente parete
rocciosa, corrugata e minacciosa, la roccia delle streghe. Dobbiamo
fermarci ed osservare con attenzione, perché è questo
il luogo dal quale venne staccato il masso di Giavéra, per essere
precipitato a valle. Si tratta di un luogo ombroso, un po’ inquietante,
ma, con tutta probabilità, nessun fruscio sinistro ne romperà
il silenzio, né alcuna ombra scivolerà furtiva fra le
piante.
Non manca molto a Pian Cantone: proseguiamo, dunque, fino a raggiungere
due baite che costituiscono l’avamposto del più ampio terrazzo
del piano. Lo scenario che ci appare, poco sopra, è ancora più
bello da quello offerto da Roncaiola. Sullo sfondo, le eleganti cime
del monte Congen (m. 2139) e di Droso (m. 2418) fanno da cornice alle
numerose e belle baite che si stendono sull’ampio pianoro. Siamo
a circa 1350 metri, sul limite orientale (di sinistra) dell’alpeggio.
Vale la pena di percorrerlo interamente, raggiungendo la cappelletta
e proseguendo, in diagonale verso destra, alla volta delle baite più
alte, isolate rispetto al nucleo centrale, per godere dello stupendo
panorama che si apre. La luminosità del luogo sembra assai lontana
dalle inquietanti atmosfere della roccia delle streghe, che pure non
dista troppo da esso.
Siamo in cammino da poco più di due ore, ed abbiamo superato
un dislivello di circa 750 metri. Possiamo tornare per la medesima via
di salita, ricordandoci, nella discesa, di prendere il sentiero di sinistra
(quello di destra conduce, infatti a Canete (m. 726), maggengo che si
trova poco sopra Villa
di Chiavenna, sul versante meridionale della valle. Possiamo, per la
verità, tornare a Giavera anche da qui, con un percorso, però,
che diventa sensibilmente più lungo.