L' AVÌS

Un avviso che mette paura (leggenda)
Testi a cura di M. Dei Cas

L'ex chiesa di S. Barbara a Bormio. Foto di M. Dei Cas “Avìs” è voce dialettale che significa “avviso”. Quando sentiamo, oggi, parlare di avvisi, ci viene spontaneo di pensare ad aspetti burocratici o amministrativi, e la nostra mente corre magari a qualche avviso di pagamento. Non così un tempo, nella civiltà contadina valtellinese, assai meno segnata dall’incombere di pratiche amministrative, e più rivolta agli aspetti essenziali del vivere, il nascere, il crescere, il lavorare, il morire. E l’"avìs" proprio a questo estremo limite del vivere si riferisce, è l’avviso di morte.
In ogni paese di Valtellina e Valchiavenna sono fiorite storie di “avìs”, raccontate come vere, verissime, in quanto vissute da persone degne di fede, che le hanno rese pubbliche con la massima serietà, perché sulla morte non si scherza. Ma di che cosa si tratta, esattamente? La cosa sta così. Quando un essere umano giunge al più tenuto dei passaggi, quello da questo all’altro mondo, accade qualcosa di misterioso, che scardina i confini spaziali e travalica ogni legge che governa il mondo naturale. Ecco, allora, che costui può mandare, alle persone più care, un segno, un avviso, appunto, perché anche loro partecipino di questa prova, che è la più difficile da vivere, lasciare la vita di quaggiù. Un segno che può essere il più diverso: il destinatario dell’avìs può avere un sogno, oppure provare una sensazione particolarissima, o, ancora, assistere ad eventi prodigiosi ed inspiegabili. Tutto ciò nel preciso istante del trapasso della persona cara.
Riportiamo, dalla bella raccolta “Le leggende in alta Valtellina”, a cura di Maria Pietrogiovanna (Valfurva, 1998), alcuni esempi di avìs memorabili, di cui si racconta ancora a Bormio. Ecco che, per esempio, un tal Vidal Baungarten, becchino di Bormio, sentì, una notte, una mano carezzargli il viso. Si svegliò e guardò l’ora, che rimase impressa nella sua memoria. Seppe poi, il giorno successivo, che proprio in quell’ora della notte era morta una sua cognata che abitava in Svizzera, e che gli era molto cara.
Una bambina di tre anni, poi, si svegliò, alla mezzanotte precisa, e disse ai suoi genitori che aveva visto il nonno andare in Paradiso. Il nonno, che viveva in un’altra casa, era morto proprio quella notte, ed alla mezzanotte precisa.
E ancora, un tale venne svegliato, nel cuore della notte, da un forte rumore che proveniva dalla cucina. Alzatosi, andò a vedere, temendo una sgradita visita di ladri, ma in cucina tutto era a posto. Mentre tornava a letto, udì tre gemiti, ed altrettanti colpi di bastone che fecero risuonare sinistramente una delle pareti della sua camera. Di nuovo perlustrò la sua abitazione, senza però esito alcuno. Attese, quindi, l’alba senza chiudere occhio, perché era assai turbato da quanto era accaduto. Ma, a giorno fatto, capì: gli venne, infatti, recata la notizia che una sua zia, cui era molto affezionato, era morta nel cuore di quella stessa notte.
Infine, ecco quel che accadde ad un incauto mercante di bestiame di Semogo, tal Baròn. Partì, un giorno, per andare a comperare alcuni capi nel bresciano, e fece tappa in un’osteria di Bormio. Era un omone alto e forte, gioviale e sicuro di sé. Troppo sicuro di sé: non aveva paura di ostentare i molti denari che aveva e portava con sé. L’ostessa, colpita da tanta baldanza, gli fece notare come fosse incauto far vedere a molti avventori, fra i quali si potevano celare anche tipi poco raccomandabili, tutti quei marenghi d’oro, ma il Baròn ci fece sopra una risata. Apprezzò la preoccupazione della donna, ma replicò che era infondata: quei soldi se li era guadagnati onestamente, ne era orgoglioso, e che ci provasse, qualcuno, a portarglieli via, se ne era capace! Ripartì, il giorno dopo, e l’ostessa non pensò più all’incauto avventore. Qualche giorno dopo, però, costei sentì, di sera, un grande fragore di sedie e sgabelli (una “trabakolàda”) in sua stanza, come se vi fossero degli individui che si divertivano a tirarsele addosso. Si precipitò a vedere, ma non c’era nessuno, sedie e sgabelli erano tutti in bell’ordine, al loro posto. Non capì l’accaduto, se non qualche tempo dopo: un avventore riportò la notizia di un mercante di Semogo aggredito ed ucciso dai briganti con una bastonata sulla testa, un mercante che tutti conoscevano come Baròn.
Qualche volta, però, chi sta per morire non manda l’avìs, ma lo riceve. È quel che accadde ad un contadino di Premadio, che stava conducendo la sua mandria nei pressi della chiesa di San Gallo. Gli venne incontro una figura nota, che lo lasciò esterefatto: era un suo carissimo amico, morto da mesi. È chiaro che in un tal frangente la domanda “Come stai?” non è propriamente quella che viene alle labbra! Non gliene venne nessuna, infatti, rimase di sasso, senza parole. Parlò, in compenso, l’amico, e gli recò un “avìs”: due giorni dopo sarebbe tornato a prenderlo, ed anche lui avrebbe provato cosa significa morire. Poi sparì, lasciando il contadino nello sconforto. Era, però, costui un uomo di fede, per cui si rassegnò alla volontà del Signore: tornò a casa, raccontò ai suoi l’accaduto, diede le indicazioni testamentarie, si confessò ed attese, sulla soglia di casa, non dico sereno, ma rassegnato, che giungesse la sua ora. E giunse, inesorabile, esattamente due giorni dopo l’”avìs”.

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