LA MAGÀDA
La strega che uscì dalla valle della Maga (leggenda)
Testi a cura di M. Dei Cas
La
strega è un essere che, per la sua malvagità e capacità
di nuocere a uomini, bestie e colture, risulta temibilissima anche quando
(il che accade nel maggior numero dei casi) ordisce trame ed insidia
i viandanti da sola. Ma esistono notti in cui si unisce a quante si
sono votate al male, come lei, per incontrarsi e congiungersi con il
demonio, scatenarsi in danze sfrenate, ordire trame ancor più
terribili. E’ la strega al sabba, che, da temibile, diviene addirittura
spaventosa: dal sabba (chiamato, nelle valli alpine, barlotto, berloto
o barilotto) essa ricava, infatti, la sua forza e la sua implacabile
volontà di fare il male.
Esistono date che un po’ ovunque sono connesse a tale malefico
convegno. Le più note sono la notte che precede la festività
di Ognissanti (1 novembre) e quella che precede la celebrazione di S.
Valpurga (1 maggio). Ma, si potrebbe dire, landa che vai, strega che
trovi. Così in bassa Valtellina l’appuntamento era fissato
per il 15 agosto e, si racconta, la strega più anziana indicava
con un grande falò il luogo prescelto, in modo che le altre potessero
facilmente raggiungerlo uscendo da valli e vallecole del territorio
montano. Ecco da dove è nata la tradizione dei falò di
Ferragosto: per disorientare le schiere di maliarde si pensò
di moltiplicare i fuochi che illuminavano la notte.
In media Valtellina, invece, pare che le streghe amassero climi decisamente
più frizzanti e si dessero convegno il primo dell’anno.
C’è un luogo, qui, che più di ogni altro sembra
il loro covo principale, e quindi da loro prende il nome: si tratta
della valle della Maga (o valle Magada), una modesta ed incassata vallecola
fra Castionetto di Chiuro e Teglio, tributaria della più ampia
val Rogna. Da qui se ne uscivano le streghe, per spargersi sui prati
della zona ed intrecciare le diaboliche danze, sulla punta non di piedi
comuni, ma di zampe caprine, nella cosiddetta notte di tregenda (Tresenda
non è lontana, e la leggenda vuole che il suo nome derivi proprio
da tale notte). Chi
si trovasse a transitare sulla strada provinciale n. 10 Panoramica dei
Castelli, che da Castionetto sale a Teglio, potrebbe riconoscere la
valle dall’omonimo ponte che la scavalca, e che si trova poco
prima della località Vangione, 800 metri circa oltre il vecchio
edificio della scuola elementare di San Giovanni. La valle appare, dal
ponte, come una modesta gola, invasa da vegetazione caotica, un luogo
tutt’altro che attraente. Appena sotto il ponte, si può
ancora osservare una cappelletta cadente, l'unico baluardo a salvaguardia
dei viandanti che un tempo salivano a Teglio per un frequentato sentiero.
Insomma, anche se non è prossimo il capodanno, la tentazione
è quella di lasciarsi alle spalle l’inquietante luogo.
Dalla valle le streghe hanno colonizzato i monti circostanti: così
la Magada è anche la tipica figura di strega ad Albosaggia (mentre
a Tresivio troviamo la variante, nel nome ma non nella perfidia, della
Marcolfa, ed a Teglio quella della Vermenaia – altro nomignolo
che è tutto un programma). E’ interessante osservare che
la parole indica sia la strega generica, che una singola e ben determinata
figura, di cui si raccontavano storie diverse. Della Magada della valle
omonima si diceva, per esempio, che fosse un’anima talmente malvagia
da essere stata vomitata dallo stesso Inferno, e condannata, di conseguenza,
ad espiare in eterno in questi luoghi sinistri, terrorizzando i viandanti
che di là passavano. Spostiamoci, ora, in quel di Albosaggia:
da queste parti la figura della Magada è così popolare,
che susciterebbe un veemente moto di protesta l’idea che essa
sia stata importata dall’altra sponda montana.
Nel passaggio (se c’è stato), la megera ha comunque assunto
tratti un po’ diversi, perdendo un’oncia di orrido ed acquistando
un pizzico di grottesco ed una punta di comico. La
sua figura, infatti, compare in diverse leggende, nelle quali finisce
spesso per essere gabbata e ridotta a mal partito. Il ritratto è
presto tracciato: si tratta di una vecchia bassa, vestita di nero, con
lunghi capelli nerissimi, un colorito pallido, un naso lungo ed affilato
e, soprattutto, occhi verdi furbi ed ingannatori. Ne riporta alcune
malefatte il bel libro di Cecilia Paganoni, "Racconti e leggende
di Valtellina e Valchiavenna", edito nel 1992. La prima ha come
protagonista un anello magico, capace di assicurare potere e ricchezza
a chi lo possedeva (anelli di questo genere non li ha inventati Tolkien…!).
Era nelle mani di un tal De Tacagnis, che un po’ per la spilorceria
denunciata dal cognome, un po’ per i suoi poteri, era effettivamente
ricco sfondato. La Magàda, però, strega intraprendente
più di ogni altra, per conquistarsi i favori del Principe delle
Tenebre, Belzebù, architettò un piano per rubare l’anello,
e ci riuscì, sfruttando la sua capacità di rendersi invisibile.
A quel punto poteva solo sbizzarrirsi nella sua fantasia malefica, per
usare i poteri dell’anello contro poveri malcapitati. I primi
furono due giovani fidanzati, sorpresi a Ca’ dei Pesc mentre scendevano
da San Salvatore. Si fece loro innanzi, dunque, non subito però
nelle sue reali fattezze, bensì come gentile vecchietta, ed addirittura
offrì loro l’anello, in cambio dei capelli biondi della
ragazza e degli occhi azzurri del ragazzo. I due rifiutarono, ed allora
la Magada, mostrato il suo aspetto terrificante, li trasformò
in due pini. Ma proprio mentre se ne andava paga della sua malvagità,
entrarono in gioco i folletti, che sempre vegliano nei boschi. Il più
astuto fra loro, Piripicchio, aveva segretamente soffiato sull’anello
prima che la strega lo rubasse a De Tacagnis, e ciò gli aveva
conferito il potere di annullare ogni maleficio operato dalla perfida
con quel prodigioso strumento. Fu
così che i folletti poterono, semplicemente danzando, cantando
e spargendo una certa polverina magica, riportare i due giovani, che
nulla ricordavano, alla vita umana. I piani della strega fallirono,
e fallì il suo progetto di primeggiare alla corte di Belzebù;
l’aspetto più comico è che neppure si rese conto
di quello che era accaduto, e continuò a credere nei poteri del
suo anello, senza rendersi conto che i folletti lo potevano sempre annullare.
Ancor peggio le andò un'altra volta, quando si mise contro un
tal Faganello. E' una storia lunga, a puntate.
La prima inizia il giorno in cui Faganello ancora fanciullo, si mise
in cammino per portare il pasto al padre che falciava il fieno in un
campo vicino all'Adda. Bisogna sapere che il covo della Magada era un
antro impenetrabile, difeso da un grande masso, il Crap della Magada,
in maggengo Paganoni, sopra Albosaggia; nondimeno, la "stria"
soleva muoversi molto, di nascosto dei contadini, che la conoscevano
e minacciavano, usando passaggi segreti nella montagna, uno dei quali
portava proprio al fiume. Ebbene, Faganello, quel giorno, se la trovò
proprio sulla strada. Falsa com'era, la strega gli si mostrò
come inoffensiva vecchina, che si offrì di assaggiare se i maccheroni
fossero davvero ben cotti. E provane uno, e provane un'altro, finirono
i maccheroni, e finì anche la messinscena: dal volto mite e dimesso
venne fuori la ghigna diabolica e la strega si avventò sul bambino
per mangiarselo. Ma i bambini sono svelti, e Faganello riuscì
a darsela a gambe, raggiungendo il padre. Questi si mise allora alla
caccia della megera, deciso a farla finita con quell'essere infido e
pericoloso, ma non riuscì a trovarla.
La seconda puntata della storia ci porta di parecchio in avanti negli
anni: Faganello era diventato un robusto giovane ed aveva dimenticato
la brutta avventura, ma la strega no. Lo
invitò, quindi, a casa sua a mangiare castagne secche, sempre
sotto mentite spoglie, e con questo espediente riuscì finalmente
ad imprigionarlo, chiudendolo in uno scrigno di legno. Si trattava ora
di escogitare il modo di mangiarselo, perché non era più
un debole bambino, e la strega non aveva una forza eccezionale. Decise
di giocare ancora d'astuzia: avrebbe chiesto al giovane di aiutarla
a soffiare nel fuoco, per poi spingerlo, aiutata dalla degna compagna
di malefatte, la sorella Caterinìn, nel pentolone bollente. Ma
il giovane, origliando da un buco dello scrigno, aveva sentito tutto,
e fu più furbo: "Soffia tu, che io non sono capace",
replicò quando la Magàda lo liberò ed il Caterinìn
gli chiese di soffiare. Caterinìn ci cascò, e fu lei a
finire nel pentolone, spinta dal giovane che, subito dopo, fuggì,
per la seconda volta, dalle grinfie della Magàda.
Questa schiumava di rabbia, e si diede a percorrere le regioni più
remore per prendersi la sua vendetta. Alla fine due fabbri le rivelarono
la dimora di Faganello, ma la dovette pagare a caro prezzo, perché,
in cambio, le chiesero di sedere su un'incudine bollente, il tempo necessario
per arrostirsi il fondoschiena. Faganello abitava dal nonno. Quando
arrivò la Magàda, privata della sorella e del fondoschiena,
ma non della sua feroce determinazione, il nonno, che sapeva come trattare
con le streghe, lo nascose sotto un mucchio di fieno. La strega lo cercò
e stava per trovarlo, quando il nonnò, con un colpo di falce,
le tagliò una gamba. A questa terza perdita sembra che la strega
non abbia retto: morì, lamentandosi comicamente. Sembra, infatti,
che le sue ultime parole famose siano state: "E' morto il mio Caterinìn,
è scappato il mio Faganello, è scottato il mio culo, è
tagliato il mio scagnello!" Così, almeno, racconta Tullia
Gherardi, di Paganoni, nel libro citato di Cecilia Paganoni. Ma chissà
mai che la maliarda se ne stia, invece, ancora chiusa dietro il suo
crap, e se la rida dell'ingenuità di chi la crede finita.