MISTERI DELLA VAL DEI RATTI
Inquietanti incontri nella valle sopra Verceia ( leggenda )
Testi a cura di M. Dei Cas
La
val dei Ratti, chiamata così non per la presenza di roditori,
ma perché, un tempo, l’omonima famiglia nobiliare comasca
ne possedeva gran parte degli alpeggi, è la prima valle della
Valchiavenna, e ne segna il confine con la bassa Valtellina ed il gruppo
del Masino; è separata, a sud, dalla bassa Valtellina dalla Costiera
dei Cech e a nord dalla Val Codera dalla costiera che culmina nel massiccio
Sasso Manduino (m. 2888). Diverse leggende sono legate al suo territorio,
ancora oggi incontaminato per la mancanza di una carrozzabile che consenta,
da Verceia (il paese posto al suo sbocco, sulle rive del lago di Novate),
l’accesso ai mezzi motorizzati. Il suo centro principale è
il paesino di Frasnedo (m. 1280), un tempo abitato lungo l’intero
arco dell’anno, oggi centro legato ad una piacevolissima villeggiatura
estiva.
Si raccontano due leggende, legate rispettivamente a Frasnedo ed all’alpe
Primalpia (dove si trova oggi il bivacco omonimo, sul versante sud-orientale
della valle), che hanno protagonista un misterioso individuo, distintissimo
in un elegante vestito nero, con tanto di cilindro e cappello.
La prima ha come contesto le fredde e brevi giornate invernali: una
sera un umile contadino di Verceia, rimasto a Frasnedo per custodire
il gregge di capre, udì bussare alla sua porta, e, colmo di stupore,
come ebbe aperto si ritrovò di fronte questo elegante signore.
Gli venne spontaneo chiedere cosa facesse lì ad un’ora
così tarda, e se non si fosse perso. La risposta fu enigmatica:
da cinquecento anni dimoro in questa valle, disse l’uomo misterioso,
che poi si sedette su una panca, vicino al focolare, togliendosi le
scarpe per scaldarsi i piedi. Fu allora che il contadino ebbe modo di
comprendere di chi si trattasse: al posto dei piedi, infatti, comparvero
due zampe caprine. Gli si raggelò il sangue nelle vene, perché
non ci voleva molto a capire che si trattava del diavolo in persona.
Fu, però, in quell’occasione almeno, un buon diavolo, perché
non fece alcun male al contadino, ma si limitò a riscaldarsi,
a ringraziare e ad andarsene. Il contadino, nondimeno, non perse tempo,
e, congedato l’ospite inquietante, scese precipitosamente alla
casa di Verceia. Lo
spavento fu tanto che cadde anche in una lunga malattia.
Il medesimo signore, o uno molto simile, si presentò, in autunno,
ad un ragazzo, un aiutante dei contadini che caricavano l’alpe
di Primalpia (un “bocia”). Questi doveva cercare alcune
capre che si erano perse e, mentre risaliva l’alpe, fu improvvisamente
circondato da una nebbia misteriosa, dalla quale emerse il distinto
signore. Alla domanda se avesse visto delle capre, egli risposte che
da trecento anni viveva nella valle, senza aver mai visto alcuna capra.
Anche in questo caso il ragazzo intuì di chi si trattava, e tornò
di corsa, spaventato, alle baite dei pastori.
Dove si trovano diavoli, si trovano anche anime dannate, e l’alpe
Primalpia non fa eccezione. Si racconta, infatti, che qui fu relegata
l’anima di un tal Scigulìn, che spesso passava il tempo
a fischiare. Questo diede noia ad un pastore, che, un giorno, gli chiese
in tono minaccioso di smettere. Quando questi, però, sceso a
Verceia, fu di ritorno all’alpe, ebbe una sgradita sorpresa: Scigulin,
che non aveva affatto preso bene la sgarbata richiesta, cominciò
a fischiare sempre più forte, impedendogli di proseguire. Calarono
così le tenebre, ed il pastore non fu più in grado di
trovare la strada per la propria baita. Fu così costretto a vagare
fino al sorgere dell’alba, quando la luce gli permise di riconoscere
il sentiero per l’alpe. Questo ed altro può succedere quando
non si rispettano le anime che già hanno la triste sorte di dimorare
eternamente nelle solitudini montane.
Queste ed altre leggende si trovano raccolte nel bel volume di AA. VV.
intitolato "C'era una volta", edito, a cura del Comune di
Prata Camportaccio, nel 1992.
Bene: c’è più di un motivo di curiosità per
visitare questa valle. Per farlo, bisogna entrare in Val Chiavenna e,
attraversata la prima galleria sulla strada statale 36, fiancheggiando
il bel lago di Novate Mezzola, raggiungere Verceia, fronteggiata, sul
lato opposto del lago, dal monte Berlinghera. Ci
si stacca dalla statale dopo aver oltrepassato il ponte in cemento e
prima di imboccare la seconda galleria; risalendo il paese, si giunge
all’incrocio con la strada che sale alla frazione di Vico, dove
si può lasciare l’automobile.
Intorno ai 600 metri, in corrispondenza delle baite abbandonate di Piazzo,
la strada asfaltata cede poi il passo ad un comodo sentiero. Il tracciato,
ampio e segnalato dalle bandierine rosso-bianco-rosse, conduce ben presto
ad una bucolica radura, eletta dagli alpini di Verceia come punto di
sosta, ritrovo e ristoro. Ripreso il cammino, si giunge ad intercettare,
a circa 900 metri, il tracciolino, il cui tracciato, pressoché
pianeggiante, raggiunge, dopo circa dieci chilometri, la Val Codera,
fra Codera e Saline. Si sale ancora, raggiungendo, in breve, il bel
gruppo di baite della località Càsten (m. 975), il cui
nome rimanda al castagno, pianta che era, in passato, di importanza
fondamentale nella magra economia del territorio alpino. Ripresa la
salita, si incontra una simpatica cappelletta, posta quasi a guardia
della valle, che comincia a svelare allo sguardo i suoi scenari di una
superba e selvaggia bellezza. Su un lato della cappelletta, posta a
guardia della gola detta Valle d’Inferno (nome che non poteva
essere più azzeccato, viste le leggende che abbiamo narrato),
si può leggere anche una breve composizione poetica firmata “Andreino”.
Dopo un ulteriore tratto, giungiamo finalmente in vista di Frasnedo.
Una nuova cappelletta offre il suo benvenuto all’escursionista,
prima che questi attraversi il paese. Staccata dal gruppo principale
di case ed in posizione più alta si trova la chiesa. Uscendo
dal paese si passa accanto al punto d’arrivo della teleferica
e ad grande edificio, adibito a spaccio durante il periodo agostano.
Poi una breve strada carrozzabile, che diventa sentiero, scende ed attraversa
un torrentello secondario, per poi raggiungere i prati di Corveggia
(m. 1221). Giunti ai prati, si intercetta la traccia, segnalata, che
sale da Moledana. Dai prati è ben visibile, sulla destra, il
caratteristico corno roccioso denominato Sasso Zucco (m. 2050). Alla
sua sinistra, sulla testata della valle, si intravede la Cima del Desenigo
(m. 2845). Dopo
aver ignorato, ad un bivio, la traccia che si stacca a destra e porta
sul lato opposto della valle, si sale, con qualche tornante, ai prati
di Tabiate (m. 1253). Le baite dei prati sono sorvegliate dalla liscia
parete della Cima del Cavrè (m. 2601), ben visibile sulla sinistra.
Il sentiero prosegue con andamento regolare, supera una deviazione a
destra che porta ad un ponte sul torrente ed ai prati di Primalpia bassa
e passa accanto ad una baita isolata, posta a quota 1475. La traccia,
ben marcata, si fa più ripida, risale il fianco destro orografico
della valle (sinistro per noi) ed è segnalata da segnavia e da
qualche ometto. La testata della valle si fa gradualmente più
ampia e mostra l’evidente intaglio del passo di Primalpia (m.
2476), il punto più alto del sentiero Italia nel tratto da Novate
Mezzola a Chiesa in Valmalenco. Una serie di tornanti permette di guadagnare
quota e di giungere all’alpe di Camera (m. 1792), sempre sovrastata
dalla Cima del Cavrè. Il sentiero attraversa il pianoro dell’alpe,
in direzione del gradino terminale della valle. Mentre ci si avvicina
al centro della valle, si può già scorgere il percorso
che ne taglia il gradino roccioso sul lato opposto. Il sentiero, sempre
ben marcato, si porta sulla sinistra orografica della valle (destra
per noi). Il sentiero aggira il gradino terminale della valle ed intercetta
la traccia che sale, in direzione sud-est, al passo di Primalpia. Aggirato
l’ampio dosso chiamato Il Mot, si raggiunge l’alpe Talamucca,
che occupa l’anfiteatro terminale della valle. In alto, al centro,
fa capolino, discretamente, la più alta cima della testata della
valle, il pizzo Ligoncio (m. 3032). Il sentiero si dirige ora verso
nord ovest. Nella marcia si può osservare bene l’ombrosa
parete nord est del Sasso Manduino (m. 2888). Ci stiamo approssimando
alla quota 2200, e la meta non è lontana. Si tratta del rifugio
dedicato all’illustre scienziato comasco Alessandro Volta,
posto a 2212 metri, come ottimo punto di appoggio sul sentiero Italia.
Per arrivare fin qui sono necessarie circa cinque ore di cammino, in
quanto dobbiamo superare 1600 metri di dislivello in altezza: si tratta
però di una fatica che, di fronte a questi scenari di forte impatto
suggestivo, non si sente più.
Chi giudicasse questo itinerario troppo lungo e faticoso, può
optare per una meta alternativa altrettanto interessante, il bivacco
Primalpia, nel cuore dell'alpe omonima, sul lato orientale della valle.
In questo caso, ad un cartello che indica "Primalpia", si
lascia a sinistra il sentiero che sale all’alpeggio di Camera
ed al rifugio Volta, per scendere, ad un ponte, che attraversa il torrente,
portando sul lato opposto della valle, dove si trovano due baite (m.
1430). Il sentiero riprende sul limite superiore destro della radura,
salendo, per un tratto a destra, poi con rapidi tornanti, in un rado
bosco. Dopo
una lunga diagonale verso sinistra e l’attraversamento di un ruscello,
si giunge ai 1678 metri dei prati dell’alpe Primalpia, sulla quale
incombe, a destra, la mole massiccia del Sasso Zucco. In mezzo al prato
un grande larice solitario ospita la segnalazione del sentiero ed un
incoraggiamento agli escursionisti di una certa età.
Sul lato sinistro del prato si vedono invece i resti delle baite dell’alpe.
Il sentiero riprende a salire dal limite superiore destro del prato,
iniziando, dopo un primo tratto, una lunga diagonale verso sinistra,
che conduce alla parte superiore dell’alpe Primalpia. Si raggiunge,
infine, la meta: il bivacco
Primalpia (m. 1980), sulla cui facciata è collocata una targa
del C.A.I. di Novate Mezzola con la data del 1995. Rispetto all'itinerario
che conduce al rifugio Volta, questo secondo itinerario richiede un'ora
circa di cammino in meno.