SAN FEDELINO
Leggenda e storia in cima al Lago di Como
Testi a cura di M. Dei Cas
Molti e molti secoli fa, quando ancora gran parte dell’Europa era sotto
il dominio dell’Impero Romano (volgeva il III secolo d.C.) e la
diffusione del Cristianesimo era ostacolata da imperatori che consideravano
questa religione una minaccia per lo stato, sulle rive settentrionali
del lago di Como sorgeva un villaggio denominato Summo Lacu, cioè
Sommità del Lago. Era popolato da gente semplice e laboriosa,
che viveva di pesca e di commerci, perché qui approdavano e da
qui ripartivano le imbarcazioni che sfruttavano il lago per il trasporto
di merci, su una direttrice importante che univa la Pianura Padana alle
regioni di lingua germanica.
Qui giunse, un giorno, una figura di soldato singolare: fiero ed umile
insieme, forte e mite, sfuggito a chissà quale battaglia, a chissà
quale storia. Abbandonò subito le armi e l’armatura, per
assumere vesti più umili e miti. La sua figura ispirava fiducia
ed imponeva, insieme, soggezione, tanto che nessuno osò chiedergli
chi fosse e donde venisse. Quel che tutti compresero subito era che
quell’uomo, che si chiamava Fedelino, era venuto per fare del
bene: viveva in condizioni assai modeste, accontentandosi di quel poco
di cui un uomo ha bisogno per vivere, si ritirava a pregare il suo Dio
per lunghi periodi di tempo, si rendeva disponibile per le necessità
di chiunque avesse bisogno di un consiglio, di una buona parola, di
un aiuto.
Parlava,
anche, di un nuovo Dio, Padre amorevole di tutti gli uomini, e di suo
figlio, Cristo, che era morto per redimere tutti: parlava di quella
nuova religione di cui non era giunta prima, al villaggio, se non una
vaga eco, la voce di qualche mercante che aveva raccontato di questi
singolari Cristiani, così diversi da tutti gli altri, persone
strane, forse nemici dell’Imperatore. Si fece subito benvolere
da tutti, conquistando la loro fiducia e diventando un punto di riferimento
per la comunità.
Finché un giorno, improvvisa, inattesa, venne, per la via che
costeggiava il lago, ad occidente, una squadra di cavalieri con le insegne
imperiali. Entrò nel villaggio, con il fragore dei cavalli scalpitanti
ed il clamore sinistro delle corazze. L’ufficiale che la comandava
chiese, alla gente sgomenta che era rimasta quasi impietrita dall’irruzione
del drappello nella piazza del paese, se vi avesse fatto sosta, nelle
ultime settimane, una persona forestiera, di cui diede anche una sommaria
descrizione. Nessuno, sulle prime, osò rispondere, ma, di fronte
ad una nuova domanda, rivolta con tono più minaccioso ed imperioso,
qualcuno rispose che sì, da diverse settimane si era insediato,
in un ricovero di fortuna presso la riva del lago, uno straniero, che
però non aveva mai fatto del male a nessuno, ed anzi si era comportato
bene con tutti. Pensava, infatti, che i cavalieri cercassero qualche
brigante, malfattore od assassino, e sicuramente Fedelino non era nulla
di tutto ciò. Si
sbagliava, però: non appena udirono la risposta, essi spronarono
i cavalli in direzione del luogo indicato. Fedelino venne sorpreso mentre
meditava sulle rive del lago, e giustiziato sommariamente, mediante
decapitazione.
Era una chiara giornata di tarda estate: il cielo era stato fino ad
allora limpido, ma si rabbuiò all’improvviso. Cominciò
a spirare un vento forte, che piegava i rami delle piante più
robuste; ben presto seguì il bagliore dei primi lampi ed il fragore
dei primi tuoni. I cavalieri lasciarono in tutta fretta il villaggio,
prima che si scatenasse la più violenta tempesta che gli abitanti
di Samòlaco (è questo il nome che il villaggio assunse,
nei secoli seguenti) avessero mai visto. La gente cercò rifugio
nelle case, finché, improvvisa com’era venuta, la tempesta
se ne andò, lasciando il posto ad una calma irreale. Tutti compresero
che non si era trattato di un evento naturale, bensì soprannaturale,
e che Fedelino non era una persona comune, ma un individuo eccezionale,
un santo. Lo cercarono, senza trovarlo. Di lui non era rimasta traccia.
Intuirono quel che era accaduto, ma non riuscirono a trovarne le spoglie.
Rimase, quindi, in quel luogo, il suo ricordo e la sua venerazione.
Poi, diversi anni dopo, un nuovo prodigio: ad una donna che stava pregando
apparve lui, Fedelino, anzi, quello che ormai tutti chiamavano San Fedelino.
Solo per pochi istanti ebbe di fronte a lei quella figura nobile, dallo
sguardo mite e fermo nello stesso tempo, ma lo riconobbe subito, non
aveva dubbi: era il santo, il martire che, con il suo sacrificio, aveva
contribuito in misura decisiva alla diffusione della fede in quelle
regioni. Corse,
dunque, a raccontare l’apparizione in paese, dove erano ancora
molti quelli che ricordavano Fedelino. Tutti si recarono, quindi, trepidanti,
sul luogo in cui la donna lo aveva visto, un luogo presso le rive del
lago, non lontano da quello in cui Fedelino era stato sorpreso dai cavalieri
imperiali. Lì furono trovate le sue spoglie, e lì venne
eretto il tempietto di San Fedelino.
Fin qui la leggenda, ancora viva a Samolaco. Una leggenda che ha un
fondo storico molto preciso. La storia ci parla, però, non di
un San Fedelino, ma di un San Fedele, soldato valoroso che si era conquistato,
con il suo coraggio e la sua fedeltà, un posto importante alla
corte dell’imperatore Massimiano, durante il III secolo d.C.,
quando ancora la fede cristiana era oggetto di persecuzioni anche feroci.
Egli stesso era pagano, ma si convertì dopo aver conosciuto il
vescovo di Milano, Materno.
La sua nuova fede lo rendeva nemico di stato, per cui, insieme a molti
soldati della legione tebea, cercò rifugio verso nord, raggiungendo
il monte Baradello, preso Como. Era inseguito dalle truppe che l’imperatore
Massimiano aveva scatenato contro i soldati cristiani, considerati traditori
e nemici di stato, ed in particolare contro di lui, al quale non aveva
perdonato il tradimento, e fu da queste raggiunto. Lo scontro che seguì
non ebbe storia. I soldati cristiani furono trucidati. Ma Fedele riuscì
a fuggire ancora più a nord, risalendo lungo la riva occidentale
del lago di Como, inseguito dagli implacabili cavalieri imperiali, fino
alla sua sommità. Qui venne, alla fine, raggiunto e, avendo rifiutato
di rinnegare la fede cristiana, fu decapitato, in località Torretta,
nel 286 d.C.
Venne,
quindi, proclamato santo e, per celebrare la sua memoria, nel luogo
del suo martirio fu eretto un primo tempietto che custodiva la sua tomba,
ricordato già fra la fine del V secolo e gli inizi del VI dal
vescovo di Pavia e scrittore Ennodio. Il tempietto andò in rovina,
e, fu sostituito, qualche secolo dopo, nel 964, dall’attuale tempietto
in stile romanico, mentre le sue spoglie vennero trasportate a Como.
Il nuovo tempietto, per le sue dimensioni ridotte, venne ben presto
chiamato San Fedelino. Si tratta di un luogo che costituisce il baricentro
dell’intera zona: ne è prova il fatto che la stessa denominazione
si riferisce al pregiato granito che viene estratto, non lontano, dalle
cave all’imbocco della Val Codera, a Novate Mezzola (nel settecento,
infatti, le prime cave furono aperte sulle falde del monte Berlinghera,
non lontano dal tempietto).
L’edificio, proprietà della parrocchia di Novate Mezzola,
ha dimensioni davvero ridotte (m. 6,2 x m. 4,5) ed ha una pianta quadrata,
con l’abside rivolta ad est, il punto cardinale che simboleggia
la luce nascente. Sul lato opposto, ad ovest, dovrebbe trovarsi la facciata,
che però è addossata alla roccia del monte Berlinghera,
in quanto il tempietto venne costruito sullo stretto lembo di terra
compreso fra il monte ed il lago, che ora si è ritirato, lasciando
il posto al fiume Mera, che scende dalla piana di Chiavenna.
Per gli escursionisti
Il
tempietto, restaurato una prima volta nel 1905 ed una seconda fra il
1993 ed il 1994, può essere raggiunto, in traghetto, partendo
dalla sponda nord-orientale del lago, in territorio di Novate Mezzola,
oppure, con una suggestiva e facile camminata, per via di terra, partendo
da Casenda, frazione di Samolaco.
Vediamo questa seconda possibilità. Lasciamo la statale 36 della
Valchiavenna a Verceia, seguendo le indicazioni per Samolaco, Gordona
e Mese ed imboccando, sulla sinistra, un sottopassaggio. Si tratta della
strada Trivulzia, denominata così in onore del capitano Gian
Giacomo Trivulzio, al servizio della Francia, che promosse, in qualità
della Mesolcina e della Valchiavenna, all’inizio del Cinquecento,
importanti opere di bonifica della piana della Mera. La strada imboccata
conduce, dopo 3 km dallo svincolo, al ponte Nave, sul fiume Mera; superato
il ponte, dobbiamo staccarci dalla strada Trivulzia a sinistra, seguendo
le indicazioni per san Fedelino; seguendo le medesime indicazioni, lasciamo,
sulla sinistra, anche questa nuova strada, in località Casenda,
per imboccarne una sterrata che, in breve, porta a san Francesco all’archetto,
chiesa medievale (ricostruita nel Seicento) che era collocata nei pressi
del punto al quale giungeva allora il lago di Como (m. 205; siamo in
comune di Samolaco, dal latino Summo Lacu, cioè il punto più
alto del lago).
Qui
dobbiamo lasciare l’automobile, valicare un ponticello e seguire,
costeggiando, a tratti, una roggia (il Roggiolo, o roggia di S. Giovanni),
un sentiero segnalato, che percorre un lungo tratto quasi pianeggiante.
Il percorso non è, però, monotono, perché regala
scorci suggestivi sulla piana del Mera e sugli aspri disegni del versante
retico della valle, nel quale spicca il monte Matra. Non meno aspro
è il versante delle Alpi Lepontine, che mostra, in primo piano,
la selvaggia valle della Porta (che segna il confine fra le province
di Sondrio e Como), i cui residui alluvionali interrompono, per un tratto,
la traccia del sentiero. Non è però difficile ritrovarla,
proseguendo a poca distanza dal fiume Mera.
Ci ritroviamo, quindi, ad un bivio, che ci propone due possibilità:
la più comoda e tranquilla prosecuzione del percorso in piano,
oppure una salita che segue il tracciato della via Regina. Entrambe
le vie ci portano al tempietto. Scegliamo dunque la seconda soluzione,
alzandoci di oltre un centinaio di metri, fino a staccarci dalla via
Regina, sempre seguendo i cartelli, per raggiungere un bellissimo poggio
roccioso che si affaccia, esposto, sul lago di Novate Mezzola: si tratta
della roccia denominata “Salto delle capre” (“Mot
di Bech”). Godiamoci il suggestivo panorama, che mostra, a destra,
il monte Legnone, di fronte, invece, Verceia, all’imbocco della
valle dei Ratti.
A
questo punto il sentiero scende, ripido, e ci permette di osservare
Verceia e l’imbocco della val Codera. Scendiamo, con cautela,
superando, nell’ultimo tratto, un corpo franoso e tornando ai
circa 200 metri di partenza, in una bella radura sulle rive del fiume
Mera (m. 200).
Qui troviamo, finalmente, il tempietto
di San Fedelino, quasi cullato dal sommesso fluire delle acque della
Mera. E’ possibile ammirarne l’interno solo nei giorni in
cui viene aperto al pubblico (da Marzo ad Ottobre, il sabato, la domenica
e nei giorni festivi negli orari 11-12 e 14-16, oppure su prenotazione;
l’ingresso è soggetto al pagamento di una tariffa; telefonare,
per informazioni, ai numeri 034344085, 034336384, 034337485 o 034482572).
Per tornare, possiamo scegliere la via alternativa, in piano, che ci
propone anche due belle scale in legno, necessarie per superare altrettanti
salti rocciosi.