SPIRITI IN VAL FABIOLO
Dalla Sirta a Campo Tartano, nella valle degli spiriti (leggenda)
Testi a cura di M. Dei Cas
Chi
si trovasse a transitare sulla ss. 38, all’altezza di
Ardenno, potrebbe, sostando e, volgendo
lo sguardo sul versante opposto (orobico), osservare il paese della
Sirta (in comune di Forcola), che merita di
essere ricordato per almeno due particolarità: la presenza del ben visibile
cupolone dell’ottocentesca chiesa di san Giuseppe (il più grande, con
la sua altezza di 38 metri, dell’intera provincia) ed il poco invidiabile
primato di essere il paese che, d’inverno, si vede sottratta interamente
la luce del sole per il più lungo periodo (dal tardo ottobre al febbraio
inoltrato), posto, com’è, allo sbocco della val
Fabiòlo (o Fabìolo, come riportato sulla Guida Turistica
della Provincia di Sondrio curata da Boscacci, Gianasso e Mandelli ed
edita dalla Banca Popolare di Sondrio), proprio a ridosso del versante
orobico settentrionale, laddove questo sembra strapiombare sulla bassa
Valtellina. Così la Caurga, parete rocciosa
di 60 metri (con interessanti percorsi attrezzati per l’arrampicata
sportiva) che incombe sulle sue case, ne è
un po’ il simbolo.
Ma, al di là di questi elementi di interesse, ce ne sono altri
più profondi, legati alla più misteriosa fra le valli orobiche, quella
val Fabiòlo (denominazione che deriva
dal termine dialettale "fabgiol", piccolo faggio) di cui non
si sospetterebbe la percorribilità, guardando dalla piana della Selvetta:
da qui, infatti, appare come una forra profonda ed orrida. Anticamente
il torrente Tàrtano passava da questa valle, ed ha scavato un solco profondo,
incassato fra gli aspri versanti che scendono,
verso nord, dalla cima della Zocca, ad est, e dal Crap
del Mezzodì, ad ovest. Di
qui passava anche la più importante mulattiera che consentiva, prima
della costruzione della carrozzabile (che risale agli anni cinquanta
del secolo scorso), di accedere alla sella
di Campo ed alla Val di Tàrtano.
Una
valle ombrosa, nascosta e misteriosa, tanto da essersi meritata la fama
di valle degli spiriti per eccellenza. Gli abitanti originari
della valle, in gran parte residenti a Sirta
o a Campo Tartano (ma a Sostila, piccolo centro
sul suo versante occidentale, qualcuno rimane ancora lungo l’intero
arco dell’anno), ricordano
diverse storie legate alla manifestazione misteriosa e paurosa del mondo
dei defunti, che, durante alcune notti, sembrano voler visitare
ancora questo nostro mondo. Le leggende sono accomunate proprio da queste
improvvise e spaventose manifestazioni delle anime dei defunti.
La più conosciuta ha come involontario protagonista un tal Gaspare,
di Somvalle (il gruppo di case che, ancora
in comune di Forcola, è posto a ridosso di Campo Tàrtano,
alla sommità, appunto, della val Fabiòlo), che tornava a casa
dopo essersi recato a Biòlo. Imboccata sul
far della sera, a Sirta, la mulattiera, e
superata la gola terminale della valle, giunse al suo primo ponticello
(detto “d’inem la val”, cioè
all’inizio della valle), dove dalla mulattiera si stacca, sulla sinistra,
un sentiero che, inerpicandosi sul fianco dirupato della valle, conduce
a Lavisòlo (gruppo di case posto sul bel poggio che sovrasta
la Caurga, in una posizione panoramica che
guarda alla piana di Ardenno e della Selvetta).
Lì si accorse che, proprio dal sentiero per Lavisòlo,
giungeva una processione inquietante di figure incappucciate, che procedevano silenziose, reggendo una candela. Fu
tanto lo spavento, che non riuscì neppure a muoversi, cosicché la processione
lo raggiunse ed uno degli incappucciati, senza mostrare il suo volto,
gli chiese di reggere anche lui una candela e di seguirlo.
Gaspare, sempre in preda al terrore, si
incamminò al seguito di quel sinistro corteo, su su,
per la val Fabiòlo, fino al Gisöl dul zapel
de val, cioè alla cappelletta
posta sul limite della sella erbosa posta alla sua sommità, dove la
processione si diresse verso destra, in direzione della chiesa di Campo,
che si trova oltre il cimitero. Giunto alla chiesa, si accorse non si
sa bene come, che la processione non c’era
più: era rimasto lui solo, con la candela in mano. Corse, quindi, a
bussare alla porta del parroco, per raccontargli l’accaduto, e fu allora
che si avvide, con raccapriccio, che ciò che reggeva non era una candela,
ma una tibia. E’ interessante osservare che una leggenda assai simile
si racconta in quel di Boffetto, vicino a Piateda,
poco oltre Sondrio, sempre sul versante orobico.
Ma torniamo in val
Fabiolo: si raccontano altre leggende legate ai due gruppi di baite
che si incontrano risalendo la valle, cioè
Bores (o Bures, m. 650) e Sponda (o Spunda,
m. 909). In particolare, si dice che, dopo il tramonto, chi passi di
qui può sentire il misterioso tintinnìo di
uno “zampugnìi”, il campanello che si lega al collo delle capre
per individuarne la posizione. Ma si vedono,
talvolta, addirittura misteriose figure che ballano tenendo in mano
una fiaccola. La spiegazione di questi eventi prodigiosi è ricondotta
ad un’antica frana che, alla Sponda, seppellì un gruppo di persone intente
a gozzovigliare. Ma non tutti credevano agli spiriti festaioli: così
una volta un tal Beroldo, credendo che fosse
tutto uno scherzo, si avvicinò ad una delle figure, per unirsi nel ballo,
ed udì queste parola: “O pian Beroldo
che i mort i gan poca forza.” Da
allora gli scettici furono confutati e, si dice, gli abitanti di Campo,
presi da gran paura, smisero di uscire dopo il tramonto, standosene
chiusi a chiave in casa fino al mattino.
Chi però non aveva paura degli spiriti era la singolare figura del parroco
della Sirta, don Abbondio Della Patrona. Costui,
infatti, nonostante il nome, non assomigliava neppure lontanamente al
pavido don Abbondio manzoniano, ed una volta, deciso a farla finita
con gli spiriti che infestavano la valle, la risalì di notte, con tutte
le formule di esorcismi, anatemi, scongiuri,
insomma di quel che serve per ricacciare le anime nell’aldilà e per
volgere in fuga i demoni. Non fu impresa da poco: egli stesso giunse
a Campo molto provato, dopo aver visto spettacoli orribili. E non giunse
da vincitore: gli spiriti c’erano ancora, tanto che lui stesso, salomonicamente, conclude che l’unica
cosa da fare, per essere sicuri, era di evitare di passare per la valle,
e non solo di notte, ma anche di giorno.
Era, però, un parroco indomito, perché ingaggiò altre battaglie con
le forze oscure, come quando, nell’alluvione del 1911, benedisse le
acque del torrente Fabiòlo, la cui furia era
stata scatenata dagli spiriti malvagi, e riuscì,
così, a salvare dal loro impeto le case della Sirta.
Tante lotte, alla fine, ne minarono la fibra e lo condussero ad una
morte prematura, anche perché la lotta aveva conseguenze fisiche
non indifferenti: si racconta, infatti, che una volta ricevette un sacco
di bastonate sul groppone, tanto che fu indotto ad andarsene da Sirta.
Don Abbondio non però l'unico parroco
della zona degno di menzione: si racconta anche di un parroco di Sostìla
che, avendo la "fisica", si trasformava in gatto. La
credenza popolare designa con il termine di "fisica" la condizione,
forse dovuta a malattia, forse ad un patto con le forze oscure, che
permette a certe persone di operare effetti prodigiosi, trasformazioni
ed incantamenti.
In una valle così arcana non poteva
mancare la presenza di streghe e diavoli, ed infatti anche questi malefici
esseri sono stati ampiamente segnalati. Quanto alle prime, si può
ricordare la storia delle "strie de l'Era". Ne è protagonista
un baldo giovane che, cominciando a pensare seriamente di metter su
famiglia, si diede pensiero anche di ciò che più si richiede
in progetti di tal genere, vale a dire una buona moglie. Prese, quindi,
a frequentare tre sorelle, un po' perché non si era ancora ben
deciso per una delle tre, un po' perché pensava che, in caso
di rifiuto dell'una, avrebbe potuto ripiegare sull'altra e, al colmo
della sfortuna, avrebbe avuto sempre la terza come riserva. La cosa
prese avvio nel migliore dei modi: le tre sorelle erano sempre gentili
ed affabili, per cui il giovane nutriva la fondata fiducia che in quella
casa avrebbe trovato la moglie che faceva per lui.
Un solo particolare, a voler cercare il pelo nell'uovo, lo lasciava
perplesso: le sorelle gli consentivano di recar loro visita tutti i
giorni della settimana, ad eccezione del giovedì. La sua futura
moglie, pensò il giovane, non doveva avere alcun segreto per
lui, e fu questo pensiero che lo indusse, un giovedì sera, ad
appostarsi nei pressi della loro casa, per spiare dove mai andassero
le tre. Fece, anzi, di più, e si appressò, curioso, alla
finestra. Quel che vide lo lasciò di sasso: le tre stavano preparandosi
ad uscire, e, con tutta tranquillità, per pettinarsi i capelli
più comodamente si staccavano la testa dal busto e la deponevano
sul comodino. Dopo
aver terminato di farsi belle, uscirono di casa, non, però, dalla
porta, bensì dalla cappa del camino: volarono via, sparendo come
inghiottite dalle ombre della sera, ma non era difficile indovinare
quale fosse la loro meta. Così come
non è difficile immaginare quale fu la conclusione della vicenda:
il giovane si convinse che per prendere moglie c'era sempre tempo e,
da allora, si tenne accuratamente alla larga da quella casa.
Il diavolo, infine. Un diavolo burlone, conosciuto
nella valle con il nome di "boia alegru": infatti non trovava
di meglio che passare il tempo ad architettare e mettere in atto scherzi
e burle a danno dei contadini, che avevano cosa più serie a cui
pensare. Entrava, non visto, nelle stalle e, per esempio, slegava le
mucche, o le legava per la coda: si divertiva così, mentre i
contadini si divertivano un po' meno. Di lui, il più delle volte,
si udiva solo la risata beffarda. Qualche volta, però, si lasciava
anche vedere, e sembrava, ad una certa distanza, un vero e proprio gigante,
aveva dimensioni che mettevano paura. Ma, quando qualche contadino più
coraggioso osava farsi avvicinarsi, le sue dimensioni si riducevano
progressivamente, fra lo stupore del coraggioso che, alla fine, invece
di un gigante da abbattere, si trovava di fronte un piccolissimo folletto
che, dopo un ultimo lazzo, scompariva, lasciandolo letteralmente a bocca
aperta.
Di questo e di molte altre cose interessanti
per conoscere non solo gli spiriti, ma anche lo spirito di questo angolo
antico di montagna non ancora convertito alla modernità, si può leggere
nel bel volumetto intitolato “Sostila
e la val Fabiolo”, di Natale Perego
(Ed. Bellavite, 2002).
Ma non limitiamoci a leggere: mettiamoci in cammino, armati di
curiosità, alla volta della valle. La
mulattiera che la risale parte proprio alle spalle della chiesa di san
Giuseppe, a Sirta (è segnalata come via alla
Sostila), e, nel primo tratto, sale sul fianco della montagna, verso destra (ovest),
piegando poi a sinistra ed avvicinandosi all’imbocco della valle. Prima di entrare nella valle ci si può soffermare
a godere di un bello scorcio panoramico sulla
Sirta, sul fiume Adda e sul paese di Ardenno.
La mulattiera scende per un breve tratto, per poi
volgere a sud ed entrare nella valle, che suscita, soprattutto in questo
primo tratto, un senso di chiusura quasi claustrofobica.
Mentre
il fondovalle è avvolto dall’ombra, cominciano ad apparire, alle spalle,
le cime del versante retico, immerse nella
luce. Dopo poco, però, la luce raggiunge anche il sentiero, che passa,
sul ponte “d’inem la val”, dal lato destro della
valle (per noi) a quello sinistro. Dopo l’immancabile cappelletta,
testimonianza di un’antica devozione e baluardo contro gli spiriti della
valle, raggiungiamo la località Bores (m 650),
dove si può scegliere di proseguire sulla mulattiera che risale la valle,
oppure attraversare di nuovo il torrente per salire a Sostila.
Questa seconda soluzione allunga l’escursione, ma
è veramente interessante. La salita a Sostila avviene
in parte nel bosco, in parte all’aperto, offrendo la possibilità di
osservare squarci sempre più ampi dello scenario alpino. Sostila
(m 821), con la sua interessante chiesetta, è ancora abitata, per tutto
l’anno, da pochissime persone, ma si anima d’estate, per la presenza
di diversi villeggianti, soprattutto la prima domenica di agosto, quando
si celebra la festa della Madonna della Neve (5 agosto). Dobbiamo ora puntare alla sella sul crinale che separa
la valle dalla bassa Valtellina. Per raggiungerla,
bisogna seguire un ripido sentierino, che si arrampica sui prati, dietro la chiesetta.
Giunti finalmente alla sella, ci si trova di fronte al brullo ma suggestivo profilo del Crap del Mezzodì
(m 1031), che chiude la visuale a nord. Alla sua sinistra, sullo sfondo, è ben visibile la
valle di Spluga, in Val Masino. La visuale,
ad ovest, raggiunge la sommità del Lario.
Un sentierino, che volge a sud-ovest, porta ad un
crocifisso e prosegue sul crinale. La traccia, che spesso si fa labile,
percorre, verso sud, il crinale che separa la val Fabiolo dalla bassa Valtellina. La salita avviene, in buona
parte, in un bosco che, nelle belle giornate, appare pervaso di luce,
in un’atmosfera di fiabesca bellezza. Superato sulla sinistra un ultimo
un gradino roccioso, il sentiero raggiunge, poi, una pineta e prosegue
quasi pianeggiante. Ignorata una deviazione a destra,
si torna a salire leggermente, mentre a destra si apre un primo scorcio
della Val di Tartano. Nel fianco orientale della valle si nota l’imbocco
della laterale val Vicima.
Ecco apparire, infine, l’abitato di Campo Tartano
e, sul sottostante fondovalle, lo sbarramento idroelettrico sul torrente
Tartano. Qualche decina di metri oltre il sentiero,
che scende al paese, si trova una grande croce,
collocata presso la cima del Culmine di Tartano
(m 1301). Il sentiero che scende a Campo è, nel primo tratto, assai
ripido, ma si fa poi più dolce, fino a raggiungere le prime case del
paese (m 1050).
Raggiunto
Campo Tartano, ci si dirige ad est (sinistra),
verso la frazione di Somvalle. Prima di imboccare
la strada che sale ad essa, si attraversa,
su una traccia di sentiero, un prato, raggiungendo una ben visibile
cappelletta, da cui si può vedere l’alta val Fabiolo. Qui
ritroviamo la mulattiera lasciata per salire a Sostila;
essa scende, nel primo tratto, verso destra, avvicinandosi al torrente
d’Assola, che precipita con una bella cascata dalla valle omonima.
La
comoda mulattiera raggiunge poi la località Sponda, dove si trova una
seconda cappelletta. Dal
lato destro orografico un bel ponte conduce al lato sinistro. La
discesa prosegue su un tracciato spesso assai elegante. Superata la
strozzatura ad S della valle, ci ritroviamo
al punto nel quale parte il sentiero per Sostila: l’anello della val Fabiolo, è chiuso, e non ci resta che scendere, per la via
di salita, a Sirta, dove giungiamo dopo circa
5 ore di cammino (ed un dislivello di oltre 1000 metri). Se,
invece, ci limitiamo a percorrere, all’andata ed al ritorno, la mulattiera
Sirta-Campo, le ore si riducono a circa 3
e mezza, ed il dislivello a poco più di 700 metri.